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I servizi di formazione all’autonomia e l’inclusione incompiuta: alcune ipotesi

La potenzialità e la cultura proinclusiva dei Servizi di Formazione all’Autonomia risulta ancora inadeguata. Indicatore principale di questo fenomeno è il protrarsi dell’inserimento ben oltre i 5/6 anni previsti dalla normativa Regionale ed oltre i 35 anni di età dei soggetti inseriti. Responsabilità di questo ritardo, a ormai sei anni dall’introduzione della DGR7433/2008 è da ricercarsi nei diversi attori del sistema (Amministrazioni Comunali, Enti Gestori, Politiche Regionali, Mercato del Lavoro).

 


Inclusione sociale: una definizione

E’ l’azione che favorisce il raggiungimento dell’eguaglianza di opportunità e la non discriminazione. L’inclusione quindi è un processo che consente che le persone incluse abbiano le stesse opportunità e poteri di decisione su come organizzare la società di tutte le altre persone. L’inclusione è un diritto basato sulla piena partecipazione delle persone con disabilità in tutti gli ambiti della vita, su base di eguaglianza in rapporto agli altri, senza discriminazione, rispettando la dignità e valorizzando la diversità umana, attraverso interventi appropriati; superamento di ostacoli e pregiudizi; sostegni basati sul mainstreaming in maniera da vivere le comunità locali. (1)  

(Giampiero Griffo e Francesca Ortali,

“Manuale di formazione sui diritti umani delle persone con disabilità”

2007)

 

L’inclusione sociale è l’obiettivo più alto che un intervento di politica sociale si possa dare, sino al superamento di politiche di tutela “settoriale” che il mainstreaming porta con sé. Per rendere raggiungibile questo obiettivo si necessita, però, di un punto di partenza e di alcuni possibili percorsi.

 

 

La persona. Da Paziente/Cliente ad Agente causale

Il punto di partenza non può che essere la persona, con le sue caratteristiche, i suoi bisogni, i suoi desideri, le sue potenzialità. La conoscenza profonda del singolo non può, in un ottica inclusiva, essere ridotta ad un dato psicometrico o funzionale (autonomie incluse), ma deve comprendere, in un’ottica multidimensionale, la pluralità di elementi che caratterizzano ogni soggetto. Il rischio è, inevitabilmente, lo schiacciamento della persona nel dualismo “paziente/cliente” estremamente lontano  dalla possibilità di “agire in qualità di agente causale primario della propria vita, il fare scelte e il prendere decisioni in merito alla propria qualità di vita liberi da influenze o interferenze improprie” (M.L. Wehmeyer e R. Schalock 2001).

 

 

I possibili percorsi verso l’inclusione sociale

L’applicazione di procedure di valutazione multidimensionale compone una differente e più complessa immagine delle persone con disabilità e richiede un ripensamento delle risposte che le politiche sociali sono in grado di mettere a disposizione, tracciando, in maniera ineluttabile, l’uscita da un percorso binario di allocazione dei soggetti (e delle risorse) all’interno di servizi organizzati in base a criteri di “gravità”, verso l’accompagnamento in percorsi di acquisizione di competenze spendibili al di fuori dei servizi stessi. Al contempo diventa necessario spostare l’accento dall’organizzazione di attività (strumentali all’acquisizione di competenze predefinite) alla costruzione di “menù” di competenze tra le quali il soggetto, adeguatamente sostenuto, potrà scegliere in maniera autodeterminata gli elementi formativi (unità di apprendimento) sui quali costruire il proprio progetto di vita socialmente inclusa. Significativa è l’assonanza tra questi concetti e quanto delineato dalla DGR 7433/2008 “DEFINIZIONE DEI REQUISITI MINIMI PER IL FUNZIONAMENTO DELLE UNITÀ DI OFFERTA SOCIALE SERVIZIO DI FORMAZIONE ALL’AUTONOMIA PER LE PERSONE DISABILI” la quale riorienta in ottica inclusiva i servizi preesistenti:

La finalità del servizio è favorire l’inclusione sociale della persona potenziando o sviluppando le sue autonomie personali. Il servizio contribuisce inoltre all’acquisizione di prerequisiti di autonomia utili all’inserimento professionale. Esso è rivolto a persone che  (…) non necessitano di servizi ad alta protezione, ma di interventi a supporto e sviluppo di abilità utili a creareconsapevolezza, autodeterminazione, autostima e maggiori autonomie spendibili per il proprio futuro, nell’ambito del contesto familiare, sociale, professionale.

(…) Le attività connesse al percorso socio educativo individualizzato saranno da realizzarsi prevalentemente attraverso il coinvolgimento delle risorse strutturali e strumentali del territorio e del contesto di vita della persona.

 

 

Un percorso non ancora compiuto

La presenza di una normativa Regionale chiara, coerente con i concetti introdotti dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, allineata con gli elementi culturali che definiscono in senso compiuto l’inclusione sociale e che identifica in chiave multidimensionale i bisogni delle persone, a cui rispondere all’interno di “percorsi socio educativi e socio formativi individualizzati, ben determinati temporalmente e condivisi con la famiglia” non è stata (o non ancora) però, sufficiente alla definizione di significative opportunità di affrancamento dal “Sistema dei Servizi” (mirare ad una graduale riduzione dell’intervento dello SFA fino alla dimissione) e della conseguente possibilità di riorganizzazione delle risorse a disposizione.

E neanche gli sforzi intrapresi in questi anni dagli enti gestori lo sono stati.  Sono innumerevoli le esperienze che identificano un investimento verso il rinnovamento di questa particolare unità di offerta:

  • Molti enti gestori, in continuità con l’esperienza dello S.F.A., mettendo a disposizione risorse e capacità proprie, hanno sviluppato sperimentazioni avanzate di formazione alla vita indipendente (Ad es: appartamenti palestra), permettendo alle persone con disabilità di riacquisire una propria identità adulta ed affrancata dal nucleo familiare di riferimento;
  • Numerose sono le esperienze, talvolta collegate alle precedenti, di percorsi di formazione alla gestione del tempo libero, che hanno permesso l’accesso ad attività sportive, laboratoriali, espressive, al di fuori dell’orario di apertura del servizio;
  • La quasi totalità dei Servizi di Formazione all’Autonomia opera in rete con altre realtà della comunità locale (oratorio, scuole, associazioni)
  • Più rare (ma estremamente significative) sono le collaborazioni con gli Enti che gestiscono attività di formazione professionale (CFP)
  • Soggiorni estivi progettati per piccoli gruppi e caratterizzati da elevata inclusività e dinamismo (Villaggi vacanza, campeggi più o meno strutturati) hanno preso il posto delle vacanze organizzate in grandi strutture ricettive (colonie o alberghi).

Per quanto lodevoli, le esperienze sopra descritte, si connotano ancora come accessorie alle attività strutturate del servizio e (troppo) spesso la loro fattibilità è secondaria alla possibilità/capacità di intercettare risorse economiche che le rendano sostenibili nel tempo. La gestione ordinaria dello SFA, nonostante la forte spinta propulsiva che deriva dalla normativa Regionale e l’evidente disponibilità degli enti gestori ad avviare (anche a proprie spese) percorsi accessori, rimane ancora ancorato alla sua caratteristica di “Servizio”, che sviluppa la propria operatività all’interno di spazi consueti, con tempi solitamente preordinati, attività predefinite che difficilmente riescono a rispondere alla flessibilità che l’individualizzazione richiede, definito da costi rilevanti, ricondotti a sistemi più o meno complessi di accreditamento, basati sul riconoscimento di una retta diaria o mensile…. Continua cioè a connotarsi come un servizio strutturato, che propone molteplici esperienze organizzate all’interno di un Progetto Educativo Individualizzato, destinato ad una costante reiterazione, in un tempo che non può essere compreso in quello previsto dalla normativa regionale, sino al raggiungimento di una condizione che prevede la “necessità di interventi che richiedono una maggiore protezione sociale o socio sanitaria*” (Leggi C.S.E.).

 

 

Le motivazioni di uno sviluppo incompiuto

Perché il Servizio di Formazione all’Autonomia non riesce (se non davvero raramente) a garantire l’accesso alla “piena partecipazione delle persone con disabilità in tutti gli ambiti della vita, su base di eguaglianza in rapporto agli altri”?

Le cause risultano essere molteplici, temporalmente collocate prima, durante e dopo l’intervento educativo sviluppato dal Servizio stesso ed imputabili agli enti che le presidiano

 

Prima: invio al servizio e definizione dal piano di intervento

La mancanza negli enti invianti (salvo rarissime eccezioni) della capacità di comprensione multidimensionale della persona con disabilità, impedisce la chiara lettura dei sostegni di cui il soggetto ha bisogno/diritto e, conseguentemente, la richiesta di inserimento presso lo S.F.A. non è accompagnata da elementi utili alla definizione a priori di un piano di intervento. Frequentemente l’orientamento verso questa tipologia di offerta è subordinata a caratteristiche già possedute dal soggetto che “E’ da S.F.A.!”. Perché?, per fare cosa? e per andare dove?… non è chiaro ne, evidentemente, ritenuto necessario.

 

Allo stesso modo le potenzialità del percorso formativo, sono annichilite dalla mancanza di un Progetto di Vita, all’interno del quale dare senso, peso e giustificazione all’esperienza di formazione all’Autonomia. Mancano, al momento della presa in carico da parte dello SFA, gli elementi fondanti l’ermeneutica pedagogica necessaria alla restituzione al soggetto di una immagine di sé, coerente con la propria storia personale, i propri cambiamenti, i propri desideri, i propri limiti, le proprie potenzialità. Solo raramente è possibile traguardare, alla partenza, un punto di arrivo che travalichi il termine temporale dell’intervento proposto dal servizio… quasi come il mandato fosse “Prenditene cura… poi vedremo”.

 Durante: La progettazione educativa Individualizzata

Come più sopra descritto, la programmazione ordinaria dello SFA si connota come un elenco di attività predefinite e costrette in termini temporali abbastanza rigidi, all’interno delle quali, nelle migliori delle ipotesi, il soggetto può sceglierne le sfumature. Ancora molta è la distanza che separa da una composizione autodeterminata del proprio menù formativo, che parta dalla valutazione non solo delle competenze ma anche delle aspettative della persona, allo scopo di una progettazione mirata dei sostegni necessari al raggiungimento dei propri obiettivi personali. Di grande supporto possono risultare, in questa direzione, gli strumenti indicati dalle Linee Guida dell’AIRIM (Associazione italiana per lo studio delle disabilità intellettive e dello sviluppo) quali la SIS (Supports Intensity Scale), la POS (Personal Outcome Scale), il POM (Personal Outcome Measure). La Scala ADIA (Valutazione dell’autodeterminazione per persone con disabilità intellettiva e autismo) contiene, ad empio, spunti di pregevole interesse per l’analisi delle possibilità di autodeterminazione che i contesti garantiscono.

 

Nella direzione della costruzione di percorsi inclusivi all’interno del servizio di Formazione all’Autonomia, di grande utilità sarebbe lo spostamento del focus dai processi (organizzazione e programmazione del servizio) agli esiti dell’intervento sulla persona, vincolando ad essi anche il riconoscimento economico dell’impegno degli enti gestori.La valutazione degli esiti degli interventi non è elemento di valutazione da parte degli enti invianti, ne (se non marginalmente) elemento valutato nel corso delle visite di vigilanza. Il presidio degli esiti degli interventi rimane (se e quando presente) una responsabilità autoimposta dagli enti gestori e, tra loro, quasi esclusivamente da quelli che hanno affrontato il percorso verso la certificazione di qualità.

 Dopo: L’uscita dai servizi

Allo stato attuale si evidenzia la pressoché totale mancanza di opportunità in uscita dallo SFA. La crisi globale ha solo accentuato la mancanza di opportunità di inserimento lavorativo in contesti non protetti. Frequenti sono le opportunità di avvicinamento al mondo del lavoro attraverso il sempre più complesso sistema dei tirocini lavorativi, socializzanti, risocializzanti, ciò nonostante le principali opportunità di ingresso nel mondo produttivo sono garantite dalle Cooperative di lavoro le quali, nonostante l’indiscutibile impegno, non possono essere il luogo elettivo dell’auspicata inclusione socio lavorativa. Anche i servizi per l’integrazione lavorativa si caratterizzano per l’impegno e la determinazione dei loro operatori, qualità troppo spesso vanificate dalla mancanza di disponibilità delle aziende e dal contingente e drammatico fenomeno della disoccupazione che questo tempo di crisi ha alimentato.

Allo stesso modo le esperienze di formazione alla vita adulta indipendente sono spesso limitate alla loro funzione sperimentale, non riuscendo ad intaccare la sostanziale miopia delle Amministrazioni Comunali, le quali tendono (per numerose non sempre  comprensibili ragioni) ad evitare  investimenti finalizzati a percorsi di vita alternativi all’inserimento in  strutture residenziali (CSS/RSD).

Maggiori successi si registrano nell’accesso ad attività di tempo libero, le quali compongono una sostanziale quota della qualità della vita delle persone. Attività sportive pomeridiano/serali, attività ricreative nel fine settimana, vacanze estive sono ormai accessibili e sempre maggiormente disponibili, grazie alla quotidiana attività delle numerose associazioni e parrocchie… ma di tempo libero si tratta… quello che manca è il tempo occupato nelle attività che compiutamente identificano ogni soggetto: ruoli e compiti sociali agiti in base alle proprie priorità personali,    relazioni sociali scelte e non imposte, luoghi e contesti di vita identificati in base ai propri desideri e non ad opportunità che rispondono a criteri altrui.

  (Non) Concludendo

Le riflessioni sopra riportate hanno lo scopo di avviare una riflessione attorno allo strumento S.F.A. inteso come luogo di predisposizione di percorsi finalizzati all’inclusione sociale delle persone con disabilità. Nel riconoscerne il potenziale proinclusivo e gli indiscutibili cambiamenti posti in essere dalla pubblicazione della dgr 7433/2008, non è possibile non mettere in evidenza le lacune che ancora caratterizzano questa unità di offerta sociale. Lacune colmabili solo con il sinergico, corresponsabile e paritetico impegno degli Enti gestori, delle Amministrazioni Comunali, della Regione Lombardia e delle ASL. A partire dal ripensamento delle regole che ne caratterizzano i criteri 8anche economici) di accesso, i processi ed i risultati attesi. Lacune colmabili solo con la partecipazione delle persone con disabilità allo sviluppo di ogni pensiero attorno alla riorganizzazione dei Servizi di Formazione all’Autonomia.

Articolo di Marco Zanisi su Lombardia Sociale

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